venerdì 8 gennaio 2021

Problemi di genere?

  Ciao, mi chiamo Matteo Arpaia e vi proporrò la lettura di un percorso di maturazione di idee riguardo la "questione di genere" nella società odierna.

Importante premessa: le mie parole, i miei "verdetti" e le mie illazioni sono frutto di un lasso di tempo così breve (scrivo all'alba della maggiore età) da non pretendere di insegnare qualcosa a qualcuno, ma ritengo sensato proporre cosa l'esperienza abbia insegnato a me finora.

In Italia (non mi permetto di parlare a nome di paesi in cui non ho vissuto) esiste un problema legato al sesso - considerato - debole?

Per noi ragazzi, di sesso maschile, no. O meglio. "Sì, esiste se pensiamo ai quotidiani casi di stupro e alle discriminazioni che ancora sussistono negli ambienti lavorativi. Ma io mi dissocio, non ho mai preteso di guardare dall'alto in basso una mia coetanea e non capisco perché, allora, si lamentino così spesso": e questo è ciò che sentirete intervistando un mio coetaneo (o che avreste sentito da me tempo fa). Ma basta?

Pensiamoci un attimo: essere uomo è un privilegio superiore all'essere donna? Parrebbe di no. Parrebbe.

Conoscete TED? È una serie di conferenze, chiamate anche TED talks, gestite dall'organizzazione privata non-profit statunitense Sapling Foundation, o almeno questo ci dice Wikipedia. Qualche giorno fa mi capitò sott'occhio, nel mentre di questa mia conversione ideologica, l'intervento di Paula Stone Williams (potrete trovare il link alla fine del discorso). Paula ha 69 anni, ma fino all'età di 43 anni si chiamava Paul. Chi ha più diritto di parola di lei in merito alla questione "problemi di genere" alzi la mano... Nessuno? Immaginavo.

Ed è lei che cito con le frasi che seguono: "Quando ero uomo non mi accorgevo di avere dei privilegi, ma li avevo", "Cosa fare allora? Voi donne dovete essere coscienti che siete più forti di quanto crediate; mentre voi uomini, che probabilmente non vi sentirete a vostro agio in questo momento (<<ride>>), potete crederci. Crederci quando diciamo che dovremmo avere quella uguaglianza, ma non la abbiamo. E potete, voi solo potete, essere la soluzione elevandoci per avere quella parità".

Senza scomodare Paula, io mi accorsi da tempo che qualcosa in me non andava. Vedevo le mie amiche "lamentarsi" eppure, conoscendole, so che non sono il tipo di persona che sollevano questioni, salvo che non siano a loro particolarmente a cuore. Qualcosa in me non andava, dicevo. Qualcosa di latente, recondito, subcutaneo come un parassita. E di un parassita si trattava!

Ora che l'ho individuato so di cosa si tratta: il virus della società in cui viviamo, in cui la parità formale non cammina di pari passo con quella effettiva, in cui i cambiamenti non possono avvenire dall'oggi al domani. Una società figlia del suo tempo, insomma. Purtuttavia riconoscendo l'agente patogeno, una cura esatta non l'ho trovata.

Ciononostante ritengo che la soluzione sia, come quasi sempre si rivela essere, la più semplice. Discutevo l'altro giorno con una mia amica di quanto difficile possa risultare cambiare la mente a una generazione riguardo un'idea preconcetta, abbondantemente digerita e accettata da millenni di civiltà patriarcali. Però se ognuno di noi nel suo piccolo aprisse la mente come capitato a me (e non sono - chi mi conosce lo sa - la persona con la più ampia apertura mentale del mondo) allora avremmo subito risolto il problema, estirpato il morbo, scacciato il parassita.

Voglio proporvi un esempio in questo senso.

Da circa un anno mi sono avvicinato a una disciplina sportiva neonata, il calisthenics. Il cali (per gli addetti ai lavori) prende spunto dalla ginnastica artistica e "ci mette del suo" con movimenti dinamici alla sbarra o su parallele o a corpo libero. Esistono anche delle competizioni internazionali, ma non riconosciute da enti sportivi di tutto rispetto (sebbene, credo, sia solo questione di tempo giacché si sta diffondendo a macchia d'olio). La community italiana è una vera e propria polis greca in cui il centro culturale è sicuramente gestito da Simone Crudo, fisioterapista e admin della pagina instangram CalisthenicsBrain, che spesso e volentieri tiene veri e propri simposi, con ospiti d'eccezione appartenenti o meno al mondo dello sport, in cui regna sempre una condivisione di idee scevra da atti di prevaricazione di una parte verso un'altra e che promuove il libero flusso di idee su tematiche attuali connesse allo sport. Ciò che però mi preme sottolineare di questa disciplina è ciò che segue.

Abbiamo già detto che è rapportabile a una società neonata, no? Ora aggiungo che, parimenti alle competizioni maschili, vi sono quelle femminili e le donne, vi assicuro, non sono da meno. Non erano molte le atlete in Grecia; e, ditemi, avete mai notato che non si insegna anellistica alle donne? Eppure le donne nel mondo del cali sono approdate con fierezza e voglia di fare, di mettersi in mostra, di esaltare le loro doti.

Il primo movimento che ho appreso (Back Lever, trovate allegate alcune mie esecuzioni) lo devo a una di queste formidabili atlete che stimo tantissimo, Andrea Russo. Uno sport che unisce, finalmente, uomini e donne e ha il vanto di esserci riuscito fin dagli albori.

Potrei farvi anche altri nomi, ma preferisco soltanto aggiungere che molti di questi atleti e atlete pubblicano quotidianamente video su Youtube dove spesso e volentieri collaborano.

Le atlete sono ancora poche anche se il numero è in costante aumento. Ma vi assicuro (e vi invito a vedere per credere) che il detto "poche ma buone" è assolutamente applicabile in questo contesto. E ci metto la mano sul fuoco, da praticante, che questo sport non è esattamente ciò che si definisce (e spero che un domani questa espressione sarà in disuso) "per femminucce". Provare per credere!