venerdì 11 giugno 2021

MATERATURA E LETTEMATICA

 

Sin da piccoli siamo sempre stati abituati a concepire l’istruzione divisa in due parti, letteraria e scientifica. Questa incompatibilità tra le due culture è diventata quasi uno stereotipo della società: come esistono i giochi per maschietti e femminucce, gli sport per i ragazzi e le ragazze, esistono la matematica e l’italiano, è questo che la realtà retrograda in cui siamo immersi ci insegna. Se frequenti il liceo scientifico significa che farai solo le materie scientifiche, se quello classico allora via libera alla letteratura italiana, greca e latina, ma per carità niente fisica, chimica o algebra. È triste rendersi conto che ancora oggi, nel mezzo della modernità, del progresso e della globalizzazione, questa apertura mentale è esclusiva di poche persone. E dire che, come abbiamo visto, ai tempi di Dante, quindi ben oltre settecento anni fa, un medico conosceva l’astronomia, la matematica, la fisica, oltre che la grammatica e la retorica per esporre in modo corretto i propri ragionamenti, e analogamente un giurista studiava la logica, e quindi la geometria; basti pensare che nella storia sono stati tanti i giuristi che hanno contribuito a raggiungere risultati matematici, in primis Leibniz e Fermat. Personalmente, anche la mia carriera scolastica è sempre stata caratterizzata da questo dualismo troppo marcato e distaccato tra matematica e letteratura, ed è stato solo iniziando il percorso di studi liceale che ho capito realmente quanto le “due culture” costituiscano in realtà un unico grande sapere. Un ruolo principale in tutto ciò è stato ricoperto dal percorso di alternanza scuola-lavoro (PCTO), che sin dal terzo anno ha aperto gli occhi alla mia classe su questo tema tanto attuale quanto spesso sottovalutato. È stato un percorso molto originale, innovativo e inclusivo, che non si è limitato al solito insegnamento-apprendimento tra docente e alunno, ma ci ha catapultati nel mondo del sapere in prima persona. Abbiamo creato un blog e pubblicato, nel corso di questi tre anni, articoli periodici sulle varie tematiche integrative assegnateci di anno in anno: simmetria e asimmetria, analisi e sintesi, uguaglianza e disuguaglianza. Abbiamo compreso come questi concetti, generalmente riconducibili al campo semantico delle discipline scientifiche, siano attuali in ogni materia, a maggior ragione in quelle umanistiche. Abbiamo capito come in matematica due affermazioni logicamente equivalenti, pur essendo diverse, hanno uguale valore e ci danno una conoscenza in più, proprio come la diversità tra persone, anche se a livello umano tutte uguali, ci arricchisce, ci fa capire e conoscere meglio noi stessi e il mondo. Abbiamo capito come il regime turbolento, in fisica, sia stato sintetizzato in arte dall’impressionista Vincent Van Gogh e come la storia d’amore tra Barbara e John nella ballata “Bonny Barbara Allen” non è poi così diversa dall’andamento della funzione y=x^2 . Abbiamo capito come la simmetria e l’asimmetria, oltre alla matematica e la fisica, siano alla base di qualsiasi struttura letteraria, di qualsiasi canzone, di qualsiasi espressione di sentimenti ed emozioni, di qualsiasi realtà sociale, in qualsiasi epoca. Anche oggi viviamo un’asimmetria tra il ruolo dell’uomo e della donna nella società, ad esempio, come ci raccontava Cavalcanti in ambito amoroso o Flaubert in ambito sociale, o tra il ruolo del genitore e del figlio, come ci raccontava Plauto ai suoi tempi. Abbiamo capito che l’analisi grammaticale o logica che facevamo alle medie può diventare analisi armonica o spettrale in fisica, quantitativa e qualitativa in chimica, infinitesimale in matematica, e che la sintesi non è solo sinonimo di riassunto, ma esiste anche quella enzimatica o di una rete elettrica. Abbiamo poi capito che Galilei, nel suo trattato astronomico Sidereus Nuncius, usa una serie di simbologie numeriche (a partire dal numero 30, il suo quadrato e il suo cubo) per descrivere la superficie lunare e il suo volume, ma ci accosta a una serie di anafore, di similitudini, di metafore letterarie per enfatizzare le scoperte da lui effettuate e attirare i lettori. Insomma, abbiamo capito che le due culture non esistono, si equivalgono, sono interdipendenti, sono due facce della stessa medaglia, due pezzi di uno stesso puzzle, due tessere di uno stesso mosaico. Noi abbiamo avuto l’opportunità di scoprirlo nel nostro PCTO, partecipando agli open-day liceali e ai convegni dell’università di Fisciano, per approfondire la nostra riflessione,  presentarne il risultato  e condividerlo con gli altri. Abbiamo avuto l’opportunità, grazie ai nostri docenti, di ampliare la nostra visione e avere gli strumenti per divulgarla agli altri, con la speranza che un giorno, magari non troppo lontano, tutti possano comprendere che dividere la cultura in compartimenti stagni non fa altro che disincentivare il sapere interdisciplinare (quello più fecondo nell’elaborare nuove idee) e porre limiti alla nostra libertà. La libertà di conoscere.

mercoledì 9 giugno 2021

MATEMATICA E LETTERATURA: ALLA RICERCA “DELL’ANELLO CHE NON TIENE”.


Spesso si sente parlare di come tutto a questo mondo possa essere descritto tramite il linguaggio universale della matematica; e se fosse possibile tentare di sintetizzare tramite precise funzioni anche il pensiero dei grandi scrittori della nostra letteratura?


Iniziamo da Giacomo Leopardi, di cui conosciamo la visione della natura che, a suo dire, deve essere strettamente connessa all’idea di “verità”: deduciamo quindi che la stessa “verità” è esprimibile in funzione della “natura” [verità = f(natura)]. Nella prima fase del pensiero del poeta marchigiano sappiamo che la natura è un’entità “benigna”, capace di dare agli uomini il dono delle “illusioni” per sopravvivere ad un mondo povero di ideali (si veda la poesia “L’infinito”). Le illusioni hanno però vita breve prima di essere smontate dalla capacità razionale della ragione. Nel nostro grafico andremo quindi a porre le “illusioni” come un asintoto orizzontale, cui la verità si avvicina laddove la natura benigna lo permetta (ovvero per natura -> +∞). Procedendo nell’analisi del pensiero leopardiano, giungiamo alla presa di coscienza di una natura “matrigna” (presentata nel “Dialogo della Natura e di un Islandese”), la quale cela la verità agli uomini sotto la sua indifferenza. Dovremmo quindi portare la verità a decrescere sempre di più laddove la natura assuma un carattere maligno (ovvero per natura -> -∞), se non fosse che anche in questo caso c’è un limite oltre il quale la verità non può peggiorare: stiamo parlando della “solidarietà”, unica arma con cui gli uomini possono opporsi alla malvagità della natura (come ci dice lo stesso Leopardi in “La Ginestra”); andremo quindi a porre un secondo asintoto orizzontale rappresentato dal concetto di “solidarietà”.


Riunendo i dati raccolti possiamo ora tracciare un grafico identificativo della verità secondo Leopardi.  


Passiamo adesso al più grande esponente del verismo italiano, Giovanni Verga. Nel caso di Verga dobbiamo porre la verità in funzione del tempo, ed in particolare nel dominio [1840, 1922], ovvero l’arco di tempo in cui è vissuto lo scrittore, con uno zero di funzione nell’anno 1870, in cui termina la stagione risorgimentale e con essa tramontano i suoi ideali. Nello studio del nostro grafico dobbiamo supporre come derivata prima della verità i “valori”, elementi indispensabili per analizzare la verità secondo il verista siciliano. Nello studio dei valori ci accorgeremo allora della presenza di un massimo relativo in corrispondenza dell’anno 1855 (anno intermedio tra la nascita dell’autore [1840] e la fine del Risorgimento [1870]) - punto di picco dei valori risorgimentali - e di un minimo relativo in corrispondenza dell’anno 1896 (anno intermedio tra la fine del Risorgimento [1870] e la morte dell’autore [1922]), laddove i valori toccano il fondo, dominati dalla “corsa alla roba”. Raccogliendo tutte le informazioni ottenute, possiamo disegnare il nostro grafico, ponendo attenzione al suo andamento sinusoidale.

Spostiamoci adesso verso il decadentista per eccellenza: Gabriele D’Annunzio, il dandy che visse tutta la sua vita come fosse “un’opera d’arte”. Per quanto riguarda il poeta dell’eccentrico e del passionale, non possiamo che porre la verità in funzione della bellezza, l’ideale per lui più elevato (si veda “La pioggia nel Pineto”). Nel descrivere l’andamento del suo concetto di “verità” è difficile trovare una scelta migliore di una funzione esponenziale, dove alla crescita progressiva della bellezza si assiste ad una corrispondente crescita maggiorata della verità. Il grafico è quindi pronto per essere disegnato.

Concludiamo questo nostro esperimento con un autore più moderno, Italo Calvino. Prendendo in analisi il capitolo conclusivo del romanzo “Le città invisibili”, nel quale si descrive l’esistenza di una Berenice giusta all’interno di una Berenice ingiusta, con al suo interno un seme di ingiustizia che lascia però spazio ad uno spiraglio di giustizia - e così via in un effetto matrioska - non possiamo non concentrarci sulla riflessione finale fatta sull’inferno, cui gli uomini possono decidere di sottomettersi oppure scegliere di combatterlo dando spazio a ciò che inferno non è. Appare lampante che per Calvino la verità abbia molteplici aspetti, tutto dipende dal punto di vista che l’osservatore sceglie di adottare. Per descrivere questo concetto di verità la funzione più appropriata è senz’altro una parabolica, in cui ad ogni valore dell’ordinata (la verità) corrispondono due valori dell’ascissa (ovvero due punti di vista, l’inferno e il non inferno).


Attraverso questo breve excursus è stato possibile osservare come il punto di vista di diversi autori, distanti sia nel pensiero che nel tempo, si possa descrivere tramite grafici matematici. Se esistono molteplici interpretazioni di ciò che chiamiamo “verità”, e non possiamo sapere quale di queste sia la più attinente alla realtà, possiamo almeno tentare di cercare, tramite il linguaggio della matematica, uno spiraglio di certezza nella rappresentazione analitica di ciò che per sua natura non è rappresentabile tramite categorie oggettive. In questa sorta di miracolo che Montale chiamerebbe “il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità” la nostra mente ritrova quel senso di stupore di fronte all’armonia dei saperi.