venerdì 17 gennaio 2020

"Quando Van Gogh sintetizzò la turbolenza" (articolo di Matteo Arpaia)

Il giorno 19 dicembre la nostra classe ha assistito alla mostra immersiva di Van Gogh a Salerno, presso il Complesso monumentale di Santa Sofia.
Pur non essendo presente alcun quadro del pittore olandese, i suoi pensieri e le sue emozioni ci sono pervenute mediante fedeli ricostruzioni virtuali. L'esperienza è stata quanto mai interattiva: è bastato indossare dei visori 3D per ritrovarsi in una campagna simile a quelle in cui Van Gogh realizzò gran parte dei suoi capolavori e, cosa più straordinaria, erano proprio i suoi quadri a comporre il paesaggio.
Chi volesse sperimentare un'esperienza irripetibile, così intima con l'arte, non potrebbe desiderare di meglio.

Come è risaputo, il pittore impressionista soffriva di gravi disturbi psichici per i quali venne confinato in manicomio. Tuttavia la condizione psichica di Van Gogh può ben essere definita inversamente proporzionale alla sua creatività ed alla sua abilità col pennello, con il quale riusciva a tirar fuori il meglio di sé.
Forse non tutti sanno che studi del nuovo millennio hanno evidenziato come, proprio in quei momenti di lucida follia, la mano dell'artista fosse stata in grado, a grandi linee, di rappresentare un'equazione fisica che descrive la turbolenza fluida.
Il regime turbolento, in fisica, consiste nel flusso caotico delle particelle di un fluido governato dalle leggi del caos deterministico che, a meno di una conoscenza praticamente impeccabile delle coordinate necessarie a descriverlo in un dato istante (cosa pressoché impossibile), non ci permettono di predire il comportamento del flusso nel tempo.
Questo fenomeno fisico è uno dei tasti dolenti della fisica moderna poiché costituisce tuttora un mistero irrisolto, sebbene sperimentalmente risultati prossimi alla realtà siano stati raggiunti da tempo.
Risulta quantomeno singolare immaginare come un uomo, che dall'esterno poteva sembrare incapace di intendere e di volere, fosse in grado di elaborare e addirittura di raffigurare dati così complessi sui fluidi e i loro moti.
Ciononostante è proprio ciò che accadde nel 1889  quando Van Gogh dipinse la celebre "Notte Stellata".
Con rapide pennellate è stata possibile la realizzazione di quelle che un matematico definirebbe spirali auree e che numerosi scienziati, in seguito a meticolosi studi sul dipinto, hanno scoperto essere rapportabili a quelle strutture fluide turbolente di cui sopra.
Constatare come da un quadro di oltre cento anni possa prendere forma un percorso interdisciplinare che, vista l'attualità degli studi che abbiamo menzionato, è destinato ad estendersi ulteriormente, è forse la miglior opera d'arte cui un artista possa aspirare.


Ritratto di Vincent Van Gogh


Regime turbolento
"Notte stellata"



GALILEO GALILEI: QUANDO L'UMANITA' CONOBBE LA LUNA


Il Seicento è il secolo della repulsione verso il tradizionalismo e l'ipse dixit aristotelico che, nei secoli precedenti, avevano profondamente influenzato (per non dire impedito) il progresso scientifico; è, questo, il secolo della rivoluzione scientifica, che vede protagonisti Bacon, Cartesio e Galileo, promotori di un'osservazione empirica dei fenomeni reali e di una metodologia di ricerca basata su principi matematici.
Galileo, in particolare, introduce un metodo scientifico sperimentale composto da una prima fase di analisi di un dato fenomeno, attraverso le sensate esperienze, e da una seconda fase di necessarie dimostrazioni, che rappresentano la sintesi delle osservazioni condotte precedentemente.
Galileo Galilei fu, inoltre, sostenitore della teorie eliocentrica di Copernico e, in ambito astronomico, si devono a lui, prime fra tutte, le scoperte riguardo la superficie lunare, i satelliti di Giove e la natura della Via Lattea, rese possibili dall'uso del cannocchiale.
Una bozza di Galileo della superficie lunare
È nel trattato scientifico Siderus Nuncius che lo scienziato pisano annuncia le sue scoperte e fornisce informazioni riguardo il particolare strumento che ha utilizzato.
Egli racconta di come, osservandola dal cannocchiale, sia riuscito a scorgere la superficie lunare che, diversamente da ciò che affermava la teoria tolemaica, non risulta liscia e levigata, ma scabra, del tutto assimilabile alla superficie terrestre, ricoperta di escrescenze e rientranze (monti e valli). 
Galileo afferma che, attraverso il cannocchiale, la luna gli era apparsa 30 volte più vicina, "sicché il suo diametro apparisca circa trenta volte maggiore, la superficie quasi novecento, il volume poi approssimativamente ventisettemila volte più grande di quando sia veduto ad occhio nudo". Particolari sono le proporzioni matematiche utilizzate per spiegare il funzionamento dello strumento utilizzato.
Galileo al cannocchiale
Pur non avendo a disposizione alcuna formula né per il calcolo della superficie né per quello del volume di una sfera (la luna), lo scienziato intuisce che la misura dell'area riguarda una moltiplicazione, dunque moltiplica una sola volta per sé stessa l'unica dimensione nota della sfera, il suo diametro: ne consegue che se il diametro visto dal cannocchiale è 30 volte maggiore di quello reale, allora la superficie percepita dal cannocchiale sarà 900 (=30^2) volte maggiore di quella effettiva. Attraverso un'intuizione simile, Galileo moltiplica due volte per sé stesso il diametro lunare (elevandolo, quindi, al cubo) concludendo che, dal cannocchiale, la luna risulta 27000 (=30^3) volte più grande rispetto alla realtà. Nonostante Galileo fornisca valori numerici tanto dettagliati, oggettivi, basati, ovviamente, su formule matematiche, il suo linguaggio non risulta freddo né distaccato, ma presenta un tono solenne, quasi commosso, nel quale si evince la felicità e la soddisfazione con cui lo scienziato comunica le proprie scoperte. Sono presenti, infatti, espressioni suggestive come "l'eccellenza della materia" o frasi che descrivono il piacere umano e genuino che Galileo prova nell'osservare la Luna: "Bellissima cosa e oltremodo a vedersi attraente è il poter rimirare il corpo lunare".
In effetti, l'intenzione a tratti celebrativa di Galileo si evince già nei primi righi del trattato: infatti i primi tre periodi cominciano rispettivamente con "Grandi invero sono le cose[...]", "Grandi, dico, [...]" e "Gran cosa è certo[...]".
Attraverso questa anafora lo scienziato rende subito nota ai lettori l'importanza dei temi trattati.
Il cannocchiale di Galileo
Nella seconda parte del trattato Galileo si sofferma sull'invenzione del cannocchiale (a opera di un fiammingo) e sul perfezionamento dello strumento messo in atto da lui stesso. Anche in questo caso il linguaggio matematico è accostato a quello poetico: infatti, come per la descrizione dell'osservazione della luna, attraverso un climax ascendente, Galileo racconta il progressivo affinamento del proprio cannocchiale, che passerà dal fornire un'immagine 3 volte più vicina e 9 volte più grande, al fornirne una più di 30 volte più vicina e quasi 1000 volte più grande.
Ancora una volta, Galileo si lascia andare al racconto appassionato e soggettivo dell'esperienza di studio che ha vissuto: lo si evince, in particolare, dalla frase "[...]osservai con incredibile godimento dell'animo le Stelle[...]". L'osservazione degli astri reca al poeta un senso di soddisfazione non solo, se così si può dire, sul piano "lavorativo" ma un senso di appagamento personale che ci fa comprendere quanto il mestiere dello scienziato, nonostante il rigore matematico, coinvolga in modo particolare il soggetto anche sul piano umano.

Gli studi di Galileo sui rapporti matematici tra le grandezze reali e quelle osservate al cannocchiale
possono essere rappresentati su un piano cartesiano come funzioni del tipo y=f(x).
Assumendo la variabile dipendente y come la misura percepita attraverso il cannocchiale, e la
variabile indipendente x come la misura reale, possiamo affermare che:
  • La lunghezza del diametro sarà rappresentata dalla retta r: y=30x
  • L’estensione della superficie sarà rappresentata dalla parabola S: y=900x^2
  • Il volume sarà rappresentato dalla cubica V: y=27000x^3


(Si considerano ovviamente valori di x e y positivi, in quanto una misura reale non può assumere valori negativi)