Il
Seicento è il secolo della repulsione verso il tradizionalismo e l'ipse
dixit aristotelico che, nei secoli precedenti, avevano
profondamente influenzato (per non dire impedito) il progresso scientifico; è,
questo, il secolo della rivoluzione scientifica,
che vede protagonisti Bacon, Cartesio e Galileo, promotori di un'osservazione empirica dei fenomeni
reali e di una metodologia di ricerca basata su principi matematici.
Galileo, in particolare, introduce un metodo scientifico sperimentale composto da una prima fase di analisi di un dato fenomeno, attraverso le sensate esperienze, e da una seconda fase di necessarie dimostrazioni, che rappresentano la sintesi delle osservazioni condotte precedentemente.
Galileo Galilei fu, inoltre, sostenitore della teorie eliocentrica di Copernico e, in ambito astronomico, si devono a lui, prime fra tutte, le scoperte riguardo la superficie lunare, i satelliti di Giove e la natura della Via Lattea, rese possibili dall'uso del cannocchiale.
Galileo, in particolare, introduce un metodo scientifico sperimentale composto da una prima fase di analisi di un dato fenomeno, attraverso le sensate esperienze, e da una seconda fase di necessarie dimostrazioni, che rappresentano la sintesi delle osservazioni condotte precedentemente.
Galileo Galilei fu, inoltre, sostenitore della teorie eliocentrica di Copernico e, in ambito astronomico, si devono a lui, prime fra tutte, le scoperte riguardo la superficie lunare, i satelliti di Giove e la natura della Via Lattea, rese possibili dall'uso del cannocchiale.
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Una bozza di Galileo della superficie lunare |
È nel trattato scientifico Siderus
Nuncius che lo scienziato pisano annuncia le sue scoperte e fornisce
informazioni riguardo il particolare strumento
che ha utilizzato.
Egli racconta di come, osservandola dal cannocchiale, sia riuscito a scorgere la superficie lunare che, diversamente da ciò che affermava la teoria tolemaica, non risulta liscia e levigata, ma scabra, del tutto assimilabile alla superficie terrestre, ricoperta di escrescenze e rientranze (monti e valli).
Egli racconta di come, osservandola dal cannocchiale, sia riuscito a scorgere la superficie lunare che, diversamente da ciò che affermava la teoria tolemaica, non risulta liscia e levigata, ma scabra, del tutto assimilabile alla superficie terrestre, ricoperta di escrescenze e rientranze (monti e valli).
Galileo afferma che, attraverso il cannocchiale, la
luna gli era apparsa 30 volte più vicina, "sicché il suo
diametro apparisca circa trenta volte maggiore, la superficie quasi novecento, il
volume poi approssimativamente ventisettemila volte più grande di quando sia veduto ad occhio nudo". Particolari
sono le proporzioni matematiche utilizzate per spiegare il funzionamento dello strumento
utilizzato.
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Galileo al cannocchiale |
Pur
non avendo a disposizione alcuna formula né per il calcolo della superficie né
per quello del volume di una sfera (la luna), lo
scienziato intuisce che la misura dell'area riguarda una moltiplicazione, dunque moltiplica una sola volta per
sé stessa l'unica dimensione nota della sfera, il suo diametro: ne consegue che se il diametro visto dal
cannocchiale è 30 volte maggiore di quello reale,
allora la superficie percepita dal cannocchiale sarà 900 (=30^2) volte maggiore
di quella effettiva. Attraverso
un'intuizione simile, Galileo moltiplica due volte per sé stesso il diametro lunare
(elevandolo, quindi, al cubo) concludendo che,
dal cannocchiale, la luna risulta 27000
(=30^3) volte più grande rispetto alla realtà. Nonostante Galileo
fornisca valori numerici tanto dettagliati, oggettivi, basati, ovviamente, su
formule matematiche, il suo linguaggio non
risulta freddo né distaccato, ma presenta un tono solenne, quasi commosso, nel quale si evince la
felicità e la soddisfazione con cui lo scienziato comunica le proprie scoperte. Sono presenti, infatti, espressioni suggestive come
"l'eccellenza della materia" o frasi che descrivono il piacere
umano e genuino che Galileo prova nell'osservare la Luna: "Bellissima
cosa e oltremodo a vedersi attraente è il poter rimirare il corpo
lunare".
In
effetti, l'intenzione a tratti celebrativa di Galileo si evince già nei primi
righi del trattato: infatti i primi tre periodi cominciano
rispettivamente con "Grandi invero sono le cose[...]",
"Grandi, dico, [...]" e "Gran cosa è
certo[...]".
Attraverso
questa anafora lo scienziato rende subito nota ai lettori l'importanza
dei temi trattati.
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Il cannocchiale di Galileo |
Nella
seconda parte del trattato Galileo si sofferma sull'invenzione del cannocchiale
(a opera di un fiammingo) e sul perfezionamento dello strumento messo in atto
da lui stesso. Anche in questo caso il linguaggio matematico è accostato a
quello poetico: infatti, come per la descrizione dell'osservazione della luna,
attraverso un climax ascendente, Galileo racconta il progressivo affinamento
del proprio cannocchiale, che passerà dal fornire un'immagine 3 volte più
vicina e 9 volte più grande, al fornirne una più di 30 volte più vicina e quasi
1000 volte più grande.
Ancora una volta, Galileo si lascia andare al racconto appassionato e soggettivo dell'esperienza di studio che ha vissuto: lo si evince, in particolare, dalla frase "[...]osservai con incredibile godimento dell'animo le Stelle[...]". L'osservazione degli astri reca al poeta un senso di soddisfazione non solo, se così si può dire, sul piano "lavorativo" ma un senso di appagamento personale che ci fa comprendere quanto il mestiere dello scienziato, nonostante il rigore matematico, coinvolga in modo particolare il soggetto anche sul piano umano.
Gli studi di Galileo sui rapporti matematici tra le grandezze reali e quelle osservate al cannocchiale
possono essere rappresentati su un piano cartesiano come funzioni del tipo y=f(x).
Assumendo la variabile dipendente y come la misura percepita attraverso il cannocchiale, e la
variabile indipendente x come la misura reale, possiamo affermare che:
Ancora una volta, Galileo si lascia andare al racconto appassionato e soggettivo dell'esperienza di studio che ha vissuto: lo si evince, in particolare, dalla frase "[...]osservai con incredibile godimento dell'animo le Stelle[...]". L'osservazione degli astri reca al poeta un senso di soddisfazione non solo, se così si può dire, sul piano "lavorativo" ma un senso di appagamento personale che ci fa comprendere quanto il mestiere dello scienziato, nonostante il rigore matematico, coinvolga in modo particolare il soggetto anche sul piano umano.
Gli studi di Galileo sui rapporti matematici tra le grandezze reali e quelle osservate al cannocchiale
possono essere rappresentati su un piano cartesiano come funzioni del tipo y=f(x).
Assumendo la variabile dipendente y come la misura percepita attraverso il cannocchiale, e la
variabile indipendente x come la misura reale, possiamo affermare che:
- La lunghezza del diametro sarà rappresentata dalla retta r: y=30x
- L’estensione della superficie sarà rappresentata dalla parabola S: y=900x^2
- Il volume sarà rappresentato dalla cubica V: y=27000x^3
(Si considerano ovviamente valori di x e y positivi, in quanto una misura reale non può assumere valori negativi)
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