Un aspetto fondamentale della vita umana è certamente la
socialità, la relazione e il contatto con altri individui: il confronto con
essi. E il confronto, si sa, implica sempre l’individuazione di uguaglianze e differenze, concetti cardine sui quali la mente umana fonda il suo
metodo conoscitivo.
Il matematico Gianmarco Bianchi fornisce la definizione matematica di
uguaglianza, diversità e loro annessi.
L’uguaglianza fra
due numeri, rappresentata dal simbolo “=”, indica semplicemente che un numero è
uguale a sé stesso: rappresenta, quindi, la conferma di una conoscenza già
acquisita. È, invece, dall’osservazione della diversità che ha inizio il
processo di apprendimento di nuove conoscenze. Infatti, la diversità si presenta sotto forma di non-uguaglianza (“≠”),
per indicare che due numeri sono semplicemente diversi, ma anche sotto forma di
disuguaglianza. Quest’ultimo tipo di
diversità rappresenta uno strumento conoscitivo in quanto aggiunge nuove
informazioni sui numeri confrontati: esso si esprime, infatti, con i simboli “>” (maggiore) o “<” (minore), stabilendo, in questo modo, una relazione tra i termini considerati e
dando loro un ordine che prima non esisteva.
L’antitesi tra uguaglianza e diversità non è certamente
causa di divisione, ma, anzi, è ciò che più lega i due concetti che, presi
singolarmente, perderebbero di significato. Quest’intreccio tra uguaglianza e diversità, in matematica, è presente
nel concetto di equivalenza. Si
parla infatti di equivalenza tra due espressioni, diverse nella forma, ma uguali
in valore: (56:8-3+1) = 25:(7-2) = 5.
Quando in un’espressione compaiono, insieme ai numeri, delle
lettere, cioè delle incognite, l’espressione assume il valore di una domanda:
ci si chiede per quali valori dell’incognita l’uguaglianza o la disuguaglianza
sia verificata. Parliamo di equazioni e disequazioni. Se per le prime le
soluzioni sono definite e in numero finito, per le seconde si parla di insiemi
infiniti di numeri. Per esempio, la disequazione che ha per soluzione x<4 ci
porta a considerare gli infiniti valori minori di 4, dividendo, così, l’insieme
dei numeri reali in due gruppi diversi:
quelli minori di 4 e quelli maggiori di 4.
Altra applicazione matematica del concetto di uguaglianza è
l’uso di formule, leggi matematiche
che legano più grandezze tra loro: l’aspetto più affascinante (e utile) delle
formule è certamente la loro generalità. Una formula resta invariata, uguale, nonostante la scelta di valori
numerici diversi.
Questa continua fusione della diversità nell’uguaglianza (o viceversa)
è osservabile anche negli insiemi,
grazie ai quali è possibile raggruppare elementi tutti diversi, ma con
una o più proprietà uguali.
Considerando, ad esempio, l’insieme N=1;2;3;4;5;6;7; … dei
numeri naturali, è possibile dividerlo in due sottoinsiemi P e D,
rispettivamente dei numeri pari e dei numeri dispari. Questi due insiemi,
entrambi contenenti numeri naturali, sono diversi
per due aspetti: in primis, non hanno nessun elemento in comune; inoltre,
l’insieme P, a differenza di D, è chiuso rispetto all’operazione somma
(sommando due numeri qualsiasi in P, si ottiene un terzo valore appartenente a
P).
P e D hanno, però, in comune il fatto di essere chiusi
rispetto al prodotto (il prodotto di due numeri pari è ancora pari, così come
il prodotto tra due numeri dispari è ancora dispari). Inoltre, entrambi gli
insiemi contengono un numero infinito di termini che è possibile verificare
essere proprio lo stesso. In generale, due insiemi hanno lo stesso numero di
termini se è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra i termini del primo e i termini del secondo insieme
(ad ogni elemento del primo insieme è associato uno e un solo elemento
del secondo e viceversa). In effetti, la corrispondenza che ad ogni numero n di
P associa uno ed un solo numero n+1 di D è biunivoca: i due insiemi sono quindi
uguali per numero di elementi e si
dicono equipotenti. Dall’indagine
sull’equipotenza di N rispetto ad altri insiemi numerici, si giunge alla
conclusione che questa non esiste sempre: N ed R (insieme dei numeri reali,
cioè razionali e irrazionali), pur essendo entrambi costituiti da infiniti
termini, non sono equipotenti. Giungiamo alla conclusione che esiste una diversità anche tra infinità: ad oggi
si conoscono solo l’infinità numerabile
di N, e l’infinità più che numerabile
di R, ma l’indagine su altri tipi di infinito è ancora in corso.
Diventa necessario, dunque, dare le definizioni di punto e movimento rigido.
Il punto è uno
degli enti fondamentali della geometria piana, che, per definizione, non ha
dimensione: per immaginare un punto, il matematico Bianchi consiglia di
immaginare di “sgonfiare” una sfera
piccolissima fino ad annullarla in tutte le direzioni. La coincidenza tra
due punti, in geometria, corrisponde all’uguaglianza tra due numeri in
matematica: conferma, infatti, che una
figura è uguale a sé stessa, non aggiungendo nuove conoscenze.
Il movimento rigido
corrisponde, invece, a un’isometria,
ossia una trasformazione del piano cartesiano che ad ogni punto del piano
associa uno e un solo punto del piano, lasciando invariate le distanze tra i
punti considerati. Si tratta di traslazioni, rotazioni o simmetrie:
trasformazioni il cui risultato è una figura diversa da quella di partenza, ma uguale quanto a distanza tra punti. In altri tipi di trasformazioni
geometriche, come le omotetie, le
affinità o le trasformazioni
topologiche, la distanza tra i punti varia, ma vengono conservate,
rispettivamente, le ampiezze degli angoli, l’allineamento tra punti, o la
chiusura delle figure.
In sostanza, il significato di una trasformazione è dato non tanto da ciò che si trasforma, ma da ciò che resta invariato, uguale: ancora una volta il concetto di uguaglianza si inserisce nella definizione di una diversità.
Altra branca della matematica trattata da Gianmarco Bianchi
è la logica, ossia la disciplina che
stabilisce le regole del pensiero
matematico e quindi umano. Uno dei procedimenti più diffusi nell’ambito
della logica è l’implicazione logica (⇒, “implica”): se vale un
enunciato A, si deduce che vale anche un secondo enunciato B (A⇒B). Ad esempio, essendo
verificato l’enunciato A: “un numero n è multiplo di 6”, sarà valido
l’enunciato B: “un numero n è multiplo di 2”: sarà, quindi, vero che “se un
numero n è multiplo di 6, allora è anche multiplo di 2”. Tra gli enunciati A e B
dell’esempio esiste una differenza
gerarchica: se vale A, allora vale B, ma non è vero il contrario, cioè che
A implica B.
Considerando,
allora, un terzo enunciato C: “un numero n è multiplo sia di 2 che di 3”,
possiamo osservare tra A e C un rapporto di uguale gerarchia: A⇔C, “un numero n è multiplo di 6 se e solo se n è multiplo sia di 2 che di 3”. In questo caso, se
vale A, allora vale C e viceversa: si
tratta di un’equivalenza logica.
Due affermazioni logicamente equivalenti, pur essendo diverse, hanno uguale valore.
Il matematico Bianchi conclude affermando che l’uguaglianza e il diverso si innamorano l’uno
dell’altra e, dall’amore che li lega in eterno, nasce continuamente una creatura bellissima: la conoscenza. Infatti, come si è visto per i concetti di equivalenza, formula, equipotenza e movimento rigido, solo quando nella diversità si insedia l’uguaglianza (o viceversa), quando in una variazione si tiene conto anche di ciò che resta invariato, quando in due espressioni strutturalmente diverse si trova lo stesso significato, si giunge a nuove informazioni sugli elementi di studio, si progredisce, si cresce. Come spesso accade, la matematica è capace di fornire insegnamenti che vanno oltre il semplice studio della disciplina: impariamo, in questo caso, in quanto umani, a comprendere la ricchezza della diversità, che porta sempre nuova conoscenza, ma anche a saper osservare quell’uguaglianza di fondo che, rendendoci tutti vulnerabili, ci spinge ad essere sempre più empatici e solidali.
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