venerdì 11 giugno 2021

MATERATURA E LETTEMATICA

 

Sin da piccoli siamo sempre stati abituati a concepire l’istruzione divisa in due parti, letteraria e scientifica. Questa incompatibilità tra le due culture è diventata quasi uno stereotipo della società: come esistono i giochi per maschietti e femminucce, gli sport per i ragazzi e le ragazze, esistono la matematica e l’italiano, è questo che la realtà retrograda in cui siamo immersi ci insegna. Se frequenti il liceo scientifico significa che farai solo le materie scientifiche, se quello classico allora via libera alla letteratura italiana, greca e latina, ma per carità niente fisica, chimica o algebra. È triste rendersi conto che ancora oggi, nel mezzo della modernità, del progresso e della globalizzazione, questa apertura mentale è esclusiva di poche persone. E dire che, come abbiamo visto, ai tempi di Dante, quindi ben oltre settecento anni fa, un medico conosceva l’astronomia, la matematica, la fisica, oltre che la grammatica e la retorica per esporre in modo corretto i propri ragionamenti, e analogamente un giurista studiava la logica, e quindi la geometria; basti pensare che nella storia sono stati tanti i giuristi che hanno contribuito a raggiungere risultati matematici, in primis Leibniz e Fermat. Personalmente, anche la mia carriera scolastica è sempre stata caratterizzata da questo dualismo troppo marcato e distaccato tra matematica e letteratura, ed è stato solo iniziando il percorso di studi liceale che ho capito realmente quanto le “due culture” costituiscano in realtà un unico grande sapere. Un ruolo principale in tutto ciò è stato ricoperto dal percorso di alternanza scuola-lavoro (PCTO), che sin dal terzo anno ha aperto gli occhi alla mia classe su questo tema tanto attuale quanto spesso sottovalutato. È stato un percorso molto originale, innovativo e inclusivo, che non si è limitato al solito insegnamento-apprendimento tra docente e alunno, ma ci ha catapultati nel mondo del sapere in prima persona. Abbiamo creato un blog e pubblicato, nel corso di questi tre anni, articoli periodici sulle varie tematiche integrative assegnateci di anno in anno: simmetria e asimmetria, analisi e sintesi, uguaglianza e disuguaglianza. Abbiamo compreso come questi concetti, generalmente riconducibili al campo semantico delle discipline scientifiche, siano attuali in ogni materia, a maggior ragione in quelle umanistiche. Abbiamo capito come in matematica due affermazioni logicamente equivalenti, pur essendo diverse, hanno uguale valore e ci danno una conoscenza in più, proprio come la diversità tra persone, anche se a livello umano tutte uguali, ci arricchisce, ci fa capire e conoscere meglio noi stessi e il mondo. Abbiamo capito come il regime turbolento, in fisica, sia stato sintetizzato in arte dall’impressionista Vincent Van Gogh e come la storia d’amore tra Barbara e John nella ballata “Bonny Barbara Allen” non è poi così diversa dall’andamento della funzione y=x^2 . Abbiamo capito come la simmetria e l’asimmetria, oltre alla matematica e la fisica, siano alla base di qualsiasi struttura letteraria, di qualsiasi canzone, di qualsiasi espressione di sentimenti ed emozioni, di qualsiasi realtà sociale, in qualsiasi epoca. Anche oggi viviamo un’asimmetria tra il ruolo dell’uomo e della donna nella società, ad esempio, come ci raccontava Cavalcanti in ambito amoroso o Flaubert in ambito sociale, o tra il ruolo del genitore e del figlio, come ci raccontava Plauto ai suoi tempi. Abbiamo capito che l’analisi grammaticale o logica che facevamo alle medie può diventare analisi armonica o spettrale in fisica, quantitativa e qualitativa in chimica, infinitesimale in matematica, e che la sintesi non è solo sinonimo di riassunto, ma esiste anche quella enzimatica o di una rete elettrica. Abbiamo poi capito che Galilei, nel suo trattato astronomico Sidereus Nuncius, usa una serie di simbologie numeriche (a partire dal numero 30, il suo quadrato e il suo cubo) per descrivere la superficie lunare e il suo volume, ma ci accosta a una serie di anafore, di similitudini, di metafore letterarie per enfatizzare le scoperte da lui effettuate e attirare i lettori. Insomma, abbiamo capito che le due culture non esistono, si equivalgono, sono interdipendenti, sono due facce della stessa medaglia, due pezzi di uno stesso puzzle, due tessere di uno stesso mosaico. Noi abbiamo avuto l’opportunità di scoprirlo nel nostro PCTO, partecipando agli open-day liceali e ai convegni dell’università di Fisciano, per approfondire la nostra riflessione,  presentarne il risultato  e condividerlo con gli altri. Abbiamo avuto l’opportunità, grazie ai nostri docenti, di ampliare la nostra visione e avere gli strumenti per divulgarla agli altri, con la speranza che un giorno, magari non troppo lontano, tutti possano comprendere che dividere la cultura in compartimenti stagni non fa altro che disincentivare il sapere interdisciplinare (quello più fecondo nell’elaborare nuove idee) e porre limiti alla nostra libertà. La libertà di conoscere.

mercoledì 9 giugno 2021

MATEMATICA E LETTERATURA: ALLA RICERCA “DELL’ANELLO CHE NON TIENE”.


Spesso si sente parlare di come tutto a questo mondo possa essere descritto tramite il linguaggio universale della matematica; e se fosse possibile tentare di sintetizzare tramite precise funzioni anche il pensiero dei grandi scrittori della nostra letteratura?


Iniziamo da Giacomo Leopardi, di cui conosciamo la visione della natura che, a suo dire, deve essere strettamente connessa all’idea di “verità”: deduciamo quindi che la stessa “verità” è esprimibile in funzione della “natura” [verità = f(natura)]. Nella prima fase del pensiero del poeta marchigiano sappiamo che la natura è un’entità “benigna”, capace di dare agli uomini il dono delle “illusioni” per sopravvivere ad un mondo povero di ideali (si veda la poesia “L’infinito”). Le illusioni hanno però vita breve prima di essere smontate dalla capacità razionale della ragione. Nel nostro grafico andremo quindi a porre le “illusioni” come un asintoto orizzontale, cui la verità si avvicina laddove la natura benigna lo permetta (ovvero per natura -> +∞). Procedendo nell’analisi del pensiero leopardiano, giungiamo alla presa di coscienza di una natura “matrigna” (presentata nel “Dialogo della Natura e di un Islandese”), la quale cela la verità agli uomini sotto la sua indifferenza. Dovremmo quindi portare la verità a decrescere sempre di più laddove la natura assuma un carattere maligno (ovvero per natura -> -∞), se non fosse che anche in questo caso c’è un limite oltre il quale la verità non può peggiorare: stiamo parlando della “solidarietà”, unica arma con cui gli uomini possono opporsi alla malvagità della natura (come ci dice lo stesso Leopardi in “La Ginestra”); andremo quindi a porre un secondo asintoto orizzontale rappresentato dal concetto di “solidarietà”.


Riunendo i dati raccolti possiamo ora tracciare un grafico identificativo della verità secondo Leopardi.  


Passiamo adesso al più grande esponente del verismo italiano, Giovanni Verga. Nel caso di Verga dobbiamo porre la verità in funzione del tempo, ed in particolare nel dominio [1840, 1922], ovvero l’arco di tempo in cui è vissuto lo scrittore, con uno zero di funzione nell’anno 1870, in cui termina la stagione risorgimentale e con essa tramontano i suoi ideali. Nello studio del nostro grafico dobbiamo supporre come derivata prima della verità i “valori”, elementi indispensabili per analizzare la verità secondo il verista siciliano. Nello studio dei valori ci accorgeremo allora della presenza di un massimo relativo in corrispondenza dell’anno 1855 (anno intermedio tra la nascita dell’autore [1840] e la fine del Risorgimento [1870]) - punto di picco dei valori risorgimentali - e di un minimo relativo in corrispondenza dell’anno 1896 (anno intermedio tra la fine del Risorgimento [1870] e la morte dell’autore [1922]), laddove i valori toccano il fondo, dominati dalla “corsa alla roba”. Raccogliendo tutte le informazioni ottenute, possiamo disegnare il nostro grafico, ponendo attenzione al suo andamento sinusoidale.

Spostiamoci adesso verso il decadentista per eccellenza: Gabriele D’Annunzio, il dandy che visse tutta la sua vita come fosse “un’opera d’arte”. Per quanto riguarda il poeta dell’eccentrico e del passionale, non possiamo che porre la verità in funzione della bellezza, l’ideale per lui più elevato (si veda “La pioggia nel Pineto”). Nel descrivere l’andamento del suo concetto di “verità” è difficile trovare una scelta migliore di una funzione esponenziale, dove alla crescita progressiva della bellezza si assiste ad una corrispondente crescita maggiorata della verità. Il grafico è quindi pronto per essere disegnato.

Concludiamo questo nostro esperimento con un autore più moderno, Italo Calvino. Prendendo in analisi il capitolo conclusivo del romanzo “Le città invisibili”, nel quale si descrive l’esistenza di una Berenice giusta all’interno di una Berenice ingiusta, con al suo interno un seme di ingiustizia che lascia però spazio ad uno spiraglio di giustizia - e così via in un effetto matrioska - non possiamo non concentrarci sulla riflessione finale fatta sull’inferno, cui gli uomini possono decidere di sottomettersi oppure scegliere di combatterlo dando spazio a ciò che inferno non è. Appare lampante che per Calvino la verità abbia molteplici aspetti, tutto dipende dal punto di vista che l’osservatore sceglie di adottare. Per descrivere questo concetto di verità la funzione più appropriata è senz’altro una parabolica, in cui ad ogni valore dell’ordinata (la verità) corrispondono due valori dell’ascissa (ovvero due punti di vista, l’inferno e il non inferno).


Attraverso questo breve excursus è stato possibile osservare come il punto di vista di diversi autori, distanti sia nel pensiero che nel tempo, si possa descrivere tramite grafici matematici. Se esistono molteplici interpretazioni di ciò che chiamiamo “verità”, e non possiamo sapere quale di queste sia la più attinente alla realtà, possiamo almeno tentare di cercare, tramite il linguaggio della matematica, uno spiraglio di certezza nella rappresentazione analitica di ciò che per sua natura non è rappresentabile tramite categorie oggettive. In questa sorta di miracolo che Montale chiamerebbe “il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità” la nostra mente ritrova quel senso di stupore di fronte all’armonia dei saperi.





venerdì 8 gennaio 2021

Problemi di genere?

  Ciao, mi chiamo Matteo Arpaia e vi proporrò la lettura di un percorso di maturazione di idee riguardo la "questione di genere" nella società odierna.

Importante premessa: le mie parole, i miei "verdetti" e le mie illazioni sono frutto di un lasso di tempo così breve (scrivo all'alba della maggiore età) da non pretendere di insegnare qualcosa a qualcuno, ma ritengo sensato proporre cosa l'esperienza abbia insegnato a me finora.

In Italia (non mi permetto di parlare a nome di paesi in cui non ho vissuto) esiste un problema legato al sesso - considerato - debole?

Per noi ragazzi, di sesso maschile, no. O meglio. "Sì, esiste se pensiamo ai quotidiani casi di stupro e alle discriminazioni che ancora sussistono negli ambienti lavorativi. Ma io mi dissocio, non ho mai preteso di guardare dall'alto in basso una mia coetanea e non capisco perché, allora, si lamentino così spesso": e questo è ciò che sentirete intervistando un mio coetaneo (o che avreste sentito da me tempo fa). Ma basta?

Pensiamoci un attimo: essere uomo è un privilegio superiore all'essere donna? Parrebbe di no. Parrebbe.

Conoscete TED? È una serie di conferenze, chiamate anche TED talks, gestite dall'organizzazione privata non-profit statunitense Sapling Foundation, o almeno questo ci dice Wikipedia. Qualche giorno fa mi capitò sott'occhio, nel mentre di questa mia conversione ideologica, l'intervento di Paula Stone Williams (potrete trovare il link alla fine del discorso). Paula ha 69 anni, ma fino all'età di 43 anni si chiamava Paul. Chi ha più diritto di parola di lei in merito alla questione "problemi di genere" alzi la mano... Nessuno? Immaginavo.

Ed è lei che cito con le frasi che seguono: "Quando ero uomo non mi accorgevo di avere dei privilegi, ma li avevo", "Cosa fare allora? Voi donne dovete essere coscienti che siete più forti di quanto crediate; mentre voi uomini, che probabilmente non vi sentirete a vostro agio in questo momento (<<ride>>), potete crederci. Crederci quando diciamo che dovremmo avere quella uguaglianza, ma non la abbiamo. E potete, voi solo potete, essere la soluzione elevandoci per avere quella parità".

Senza scomodare Paula, io mi accorsi da tempo che qualcosa in me non andava. Vedevo le mie amiche "lamentarsi" eppure, conoscendole, so che non sono il tipo di persona che sollevano questioni, salvo che non siano a loro particolarmente a cuore. Qualcosa in me non andava, dicevo. Qualcosa di latente, recondito, subcutaneo come un parassita. E di un parassita si trattava!

Ora che l'ho individuato so di cosa si tratta: il virus della società in cui viviamo, in cui la parità formale non cammina di pari passo con quella effettiva, in cui i cambiamenti non possono avvenire dall'oggi al domani. Una società figlia del suo tempo, insomma. Purtuttavia riconoscendo l'agente patogeno, una cura esatta non l'ho trovata.

Ciononostante ritengo che la soluzione sia, come quasi sempre si rivela essere, la più semplice. Discutevo l'altro giorno con una mia amica di quanto difficile possa risultare cambiare la mente a una generazione riguardo un'idea preconcetta, abbondantemente digerita e accettata da millenni di civiltà patriarcali. Però se ognuno di noi nel suo piccolo aprisse la mente come capitato a me (e non sono - chi mi conosce lo sa - la persona con la più ampia apertura mentale del mondo) allora avremmo subito risolto il problema, estirpato il morbo, scacciato il parassita.

Voglio proporvi un esempio in questo senso.

Da circa un anno mi sono avvicinato a una disciplina sportiva neonata, il calisthenics. Il cali (per gli addetti ai lavori) prende spunto dalla ginnastica artistica e "ci mette del suo" con movimenti dinamici alla sbarra o su parallele o a corpo libero. Esistono anche delle competizioni internazionali, ma non riconosciute da enti sportivi di tutto rispetto (sebbene, credo, sia solo questione di tempo giacché si sta diffondendo a macchia d'olio). La community italiana è una vera e propria polis greca in cui il centro culturale è sicuramente gestito da Simone Crudo, fisioterapista e admin della pagina instangram CalisthenicsBrain, che spesso e volentieri tiene veri e propri simposi, con ospiti d'eccezione appartenenti o meno al mondo dello sport, in cui regna sempre una condivisione di idee scevra da atti di prevaricazione di una parte verso un'altra e che promuove il libero flusso di idee su tematiche attuali connesse allo sport. Ciò che però mi preme sottolineare di questa disciplina è ciò che segue.

Abbiamo già detto che è rapportabile a una società neonata, no? Ora aggiungo che, parimenti alle competizioni maschili, vi sono quelle femminili e le donne, vi assicuro, non sono da meno. Non erano molte le atlete in Grecia; e, ditemi, avete mai notato che non si insegna anellistica alle donne? Eppure le donne nel mondo del cali sono approdate con fierezza e voglia di fare, di mettersi in mostra, di esaltare le loro doti.

Il primo movimento che ho appreso (Back Lever, trovate allegate alcune mie esecuzioni) lo devo a una di queste formidabili atlete che stimo tantissimo, Andrea Russo. Uno sport che unisce, finalmente, uomini e donne e ha il vanto di esserci riuscito fin dagli albori.

Potrei farvi anche altri nomi, ma preferisco soltanto aggiungere che molti di questi atleti e atlete pubblicano quotidianamente video su Youtube dove spesso e volentieri collaborano.

Le atlete sono ancora poche anche se il numero è in costante aumento. Ma vi assicuro (e vi invito a vedere per credere) che il detto "poche ma buone" è assolutamente applicabile in questo contesto. E ci metto la mano sul fuoco, da praticante, che questo sport non è esattamente ciò che si definisce (e spero che un domani questa espressione sarà in disuso) "per femminucce". Provare per credere!



martedì 29 dicembre 2020

Diversità e uguaglianza: due fiumi nel mare della conoscenza.

 

Un aspetto fondamentale della vita umana è certamente la socialità, la relazione e il contatto con altri individui: il confronto con essi. E il confronto, si sa, implica sempre l’individuazione di uguaglianze e differenze, concetti cardine sui quali la mente umana fonda il suo metodo conoscitivo.

Il matematico Gianmarco Bianchi fornisce la definizione matematica di uguaglianza, diversità e loro annessi.

L’uguaglianza fra due numeri, rappresentata dal simbolo =, indica semplicemente che un numero è uguale a sé stesso: rappresenta, quindi, la conferma di una conoscenza già acquisita. È, invece, dall’osservazione della diversità che ha inizio il processo di apprendimento di nuove conoscenze. Infatti, la diversità si presenta sotto forma di non-uguaglianza (“≠”), per indicare che due numeri sono semplicemente diversi, ma anche sotto forma di disuguaglianza. Quest’ultimo tipo di diversità rappresenta uno strumento conoscitivo in quanto aggiunge nuove informazioni sui numeri confrontati: esso si esprime, infatti, con i simboli “>” (maggiore) o “<” (minore), stabilendo, in questo modo, una relazione tra i termini considerati e dando loro un ordine che prima non esisteva.

L’antitesi tra uguaglianza e diversità non è certamente causa di divisione, ma, anzi, è ciò che più lega i due concetti che, presi singolarmente, perderebbero di significato. Quest’intreccio tra uguaglianza e diversità, in matematica, è presente nel concetto di equivalenza. Si parla infatti di equivalenza tra due espressioni, diverse nella forma, ma uguali in valore: (56:8-3+1) = 25:(7-2) = 5.

Quando in un’espressione compaiono, insieme ai numeri, delle lettere, cioè delle incognite, l’espressione assume il valore di una domanda: ci si chiede per quali valori dell’incognita l’uguaglianza o la disuguaglianza sia verificata. Parliamo di equazioni e disequazioni. Se per le prime le soluzioni sono definite e in numero finito, per le seconde si parla di insiemi infiniti di numeri. Per esempio, la disequazione che ha per soluzione x<4 ci porta a considerare gli infiniti valori minori di 4, dividendo, così, l’insieme dei numeri reali in due gruppi diversi: quelli minori di 4 e quelli maggiori di 4.

Altra applicazione matematica del concetto di uguaglianza è l’uso di formule, leggi matematiche che legano più grandezze tra loro: l’aspetto più affascinante (e utile) delle formule è certamente la loro generalità. Una formula resta invariata, uguale, nonostante la scelta di valori numerici diversi.

Questa continua fusione della diversità nell’uguaglianza (o viceversa) è osservabile anche negli insiemi, grazie ai quali è possibile raggruppare elementi tutti diversi, ma con una o più proprietà uguali.

Considerando, ad esempio, l’insieme N=1;2;3;4;5;6;7; … dei numeri naturali, è possibile dividerlo in due sottoinsiemi P e D, rispettivamente dei numeri pari e dei numeri dispari. Questi due insiemi, entrambi contenenti numeri naturali, sono diversi per due aspetti: in primis, non hanno nessun elemento in comune; inoltre, l’insieme P, a differenza di D, è chiuso rispetto all’operazione somma (sommando due numeri qualsiasi in P, si ottiene un terzo valore appartenente a P).

P e D hanno, però, in comune il fatto di essere chiusi rispetto al prodotto (il prodotto di due numeri pari è ancora pari, così come il prodotto tra due numeri dispari è ancora dispari). Inoltre, entrambi gli insiemi contengono un numero infinito di termini che è possibile verificare essere proprio lo stesso. In generale, due insiemi hanno lo stesso numero di termini se è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra i termini del primo e i termini del secondo insieme (ad ogni elemento del primo insieme è associato uno e un solo elemento del secondo e viceversa). In effetti, la corrispondenza che ad ogni numero n di P associa uno ed un solo numero n+1 di D è biunivoca: i due insiemi sono quindi uguali per numero di elementi e si dicono equipotenti. Dall’indagine sull’equipotenza di N rispetto ad altri insiemi numerici, si giunge alla conclusione che questa non esiste sempre: N ed R (insieme dei numeri reali, cioè razionali e irrazionali), pur essendo entrambi costituiti da infiniti termini, non sono equipotenti. Giungiamo alla conclusione che esiste una diversità anche tra infinità: ad oggi si conoscono solo l’infinità numerabile di N, e l’infinità più che numerabile di R, ma l’indagine su altri tipi di infinito è ancora in corso.

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Anche in geometria, disciplina che si occupa dello studio di figure geometriche (ossia insiemi di punti) ci si imbatte nei concetti di uguaglianza e diversità e soprattutto nella loro coesistenza. Parliamo, in particolare, dei concetti di coincidenza () e congruenza (). Due figure coincidono se ogni punto della prima sta su un punto della seconda, mentre sono congruenti se, attraverso un movimento rigido, è possibile portare una delle due figure a coincidere punto per punto con l’altra.

Diventa necessario, dunque, dare le definizioni di punto e movimento rigido.

Il punto è uno degli enti fondamentali della geometria piana, che, per definizione, non ha dimensione: per immaginare un punto, il matematico Bianchi consiglia di immaginare di “sgonfiare” una sfera piccolissima fino ad annullarla in tutte le direzioni. La coincidenza tra due punti, in geometria, corrisponde all’uguaglianza tra due numeri in matematica: conferma, infatti, che una figura è uguale a sé stessa, non aggiungendo nuove conoscenze.

Il movimento rigido corrisponde, invece, a un’isometria, ossia una trasformazione del piano cartesiano che ad ogni punto del piano associa uno e un solo punto del piano, lasciando invariate le distanze tra i punti considerati. Si tratta di traslazioni, rotazioni o simmetrie: trasformazioni il cui risultato è una figura diversa da quella di partenza, ma uguale quanto a distanza tra punti. In altri tipi di trasformazioni geometriche, come le omotetie, le affinità o le trasformazioni topologiche, la distanza tra i punti varia, ma vengono conservate, rispettivamente, le ampiezze degli angoli, l’allineamento tra punti, o la chiusura delle figure.

In sostanza, il significato di una trasformazione è dato non tanto da ciò che si trasforma, ma da ciò che resta invariato, uguale: ancora una volta il concetto di uguaglianza si inserisce nella definizione di una diversità.

Altra branca della matematica trattata da Gianmarco Bianchi è la logica, ossia la disciplina che stabilisce le regole del pensiero matematico e quindi umano. Uno dei procedimenti più diffusi nell’ambito della logica è l’implicazione logica (⇒, “implica”): se vale un enunciato A, si deduce che vale anche un secondo enunciato B (AB). Ad esempio, essendo verificato l’enunciato A: “un numero n è multiplo di 6”, sarà valido l’enunciato B: “un numero n è multiplo di 2”: sarà, quindi, vero che “se un numero n è multiplo di 6, allora è anche multiplo di 2”. Tra gli enunciati A e B dell’esempio esiste una differenza gerarchica: se vale A, allora vale B, ma non è vero il contrario, cioè che A implica B.

Considerando, allora, un terzo enunciato C: “un numero n è multiplo sia di 2 che di 3”, possiamo osservare tra A e C un rapporto di uguale gerarchia: AC, “un numero n è multiplo di 6 se e solo se n è multiplo sia di 2 che di 3”. In questo caso, se vale A, allora vale C e viceversa: si tratta di un’equivalenza logica.

Due affermazioni logicamente equivalenti, pur essendo diverse, hanno uguale valore.

 

Il matematico Bianchi conclude affermando che l’uguaglianza e il diverso si innamorano l’uno
dell’altra e, dall’amore che li lega in eterno, nasce continuamente una creatura bellissima: la conoscenza
. Infatti, come si è visto per i concetti di equivalenza, formula, equipotenza e movimento rigido, solo quando nella diversità si insedia l’uguaglianza (o viceversa), quando in una variazione si tiene conto anche di ciò che resta invariato, quando in due espressioni strutturalmente diverse si trova lo stesso significato, si giunge a nuove informazioni sugli elementi di studio, si progredisce, si cresce. 

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Come spesso accade, la matematica è capace di fornire insegnamenti che vanno oltre il semplice studio della disciplina: impariamo, in questo caso, in quanto umani, a comprendere la ricchezza della diversità, che porta sempre nuova conoscenza, ma anche a saper osservare quell’uguaglianza di fondo che, rendendoci tutti vulnerabili, ci spinge ad essere sempre più empatici e solidali.

giovedì 4 giugno 2020

Deucalione e Pirra,Metamorfosi, Libro I, Ovidio


Deucalione e Pirra, rimasti gli unici in vita in seguito al diluvio universale, ripopolano il pianeta gettandosi alle spalle le "ossa" della Terra. Un nuovo inizio che può spronarci ad affrontare al meglio le problematiche legate al Covid-19.